La Australian Competition and Consumer Commission ha citato in giudizio l’azienda di Mark Zuckerberg per via di annunci pubblicitari che spingevano le persone a comprare criptovalute. Pubblicato il 18 marzo 2022 da Valentina Bernocco Le truffe sui social network, come Facebook e Instagram, possono costare care non solo a chi ci casca, ma anche alle piattaforme che le ospitano. Per Meta, la società proprietaria di Facebook e Instagram, questa volta i problemi arrivano non da accuse di antitrust o di violazioni di privacy ma dall’aver veicolato annunci pubblicitari di truffe finanziarie, in cui si usavano i nomi e le immagini di personalità australiane per convincere persone ad acquistare criptovaluta. Tra le personalità sfruttate ci sono l’imprenditore (nonché filantropo e detentore di diversi record nell’aviazione) Dick Smith, il giornalista e presentatore televisivo David Koch e l’imprenditore Andrew Forrest. Si deve proprio a quest’ultimo l’azione legale avviata contro Meta in conseguenza dei fatti. Fatti che risalgono in realtà al 2020 e che già erano stati analizzati dal Guardian: fingendo di abboccare all’amo, un giornalista della testata britannica aveva scoperto la probabile origine russa di questa truffa (che riporta a cinque indirizzi collocati a Mosca) e descritto il suo funzionamento. Gli annunci pubblicati su Facebook mostravano falsi articoli giornalistici in cui si spiegava come famosi imprenditori e uomini di spettacolo avevano ottenuto guadagni grazie a investimenti in criptovalute. Come scoperto dal Guardian, seguendo un link si arrivava su un sito Web di scambio di Bitcoin, che portava poi a un’altra pagina Web, presentata come piattaforma di trading. Dopo essersi registrati al servizio e aver fornito i propri dati telefonici, gli utenti ricevevano la chiamata di un presunto esperto che spiegava loro come investire per ottenere facilmente grandi somme di denaro.
In truffe di questo tipo, come segnalato da un’indagine dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project, non è raro che su questo primo contatto si innestino altri tentativi di spingere le persone a mettere il loro denaro in rischiosi investimenti. Piattaforme pubblicitarie come quelle di Facebook e Google faticano a eliminare queste truffe perché gli autori tendono ad appoggiarsi a numerosi siti Web (registrando preventivamente diversi domini da differenti provider), dunque se uno di essi viene bloccato è sufficiente creare una nuova campagna pubblicitaria che punta a una diversa landing page.
A distanza di tempo oggi si torna a parlare del caso perché anche la Australian Competition and Consumer Commission (Accc) ha citato in giudizio Meta per essere stata complice degli autori della truffa, senza attivarsi per rimuovere gli annunci come avrebbe dovuto fare. E traendone, peraltro, vantaggio. Secondo quanto affermato dal presidente dell’autorità antitrust, Rod Sims, “Meta è responsabile per questi annunci pubblicitari veicolati sulla sua piattaforma. È parte cruciale del suo business consentire, tramite gli algoritmi di Facebook, agli inserzionisti di raggiungere il target di utenti che con maggiore probabilità cliccheranno sul link contenuto per visitare la landing page dell’annuncio. Queste visite sulle landing page degli annunci generano ricavi sostanziali per Facebook”. “Non vogliamo annunci pubblicitari che cercano di truffare le persone per denaro o di ingannare gli utenti Facebook”, ha replicato Meta con una comunicazione ufficiale. “Usiamo la tecnologia per scovare e bloccare gli annunci truffa e lavoriamo per stare un passo avanti ai tentativi dei truffatori di sfuggire ai nostri sistemi di rilevamento. Abbiamo collaborato all’indagine della Accc sulla questione”.
COMMENTO: per troppo tempo vigeva il sistema Bussiness is Business che aggiornava il detto latino Pecunia Non Olet (il denaro non puzza). Per fortuna ci sono persone che sentono questo puzzo e fanno il possibile per rinfrescare l'ambiente.
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