Come regolare le criptovalute di Paolo Savona

Criptovalute: l’intervento integrale dell’economista Paolo Savona, presidente Consob, al Festival dell’Economia a Trento Allo stato attuale del dibattito, la condizione in cui versa il mercato delle criptovalute è quella del suo “sostanziale autogoverno delle quantità tramite i prezzi, che impone una sua regolamentazione per garantire la stabilità finanziaria”. Così il presidente della Consob, Paolo Savona, nel corso di un convegno sulle criptovalute nell’ambito del Festival dell’Economia a Trento. “Questa condizione – aggiunge – si potrà forse raggiungere dopo novembre 2022, quando le 18+8 istituzioni americane coinvolte con l’ordinanza firmata dal Presidente degli Stati Uniti risponderanno ai quesiti da lui posti; essi investono un ampio spettro di istanze sollevate dalla nascita e circolazione delle criptovalute e dalla loro ibridazione degli strumenti tradizionali, spingendosi fino a considerare le implicazioni geopolitiche e geostrategiche del loro sviluppo”. L’INTERVENTO INTEGRALE DI PAOLO SAVONA L’espansione delle quantità e delle diverse forme delle cosiddette cryptocurrency (più oltre CC) è stata tale che si impone l’integrazione di questa nuova realtà del mercato nella normativa esistente; affinché possa essere fatto su basi razionali, è necessario che l’operatività dell’insieme di questi strumenti virtuali venga collocata nella teoria economica conosciuta. Non si tratta di un vezzo intellettuale, ma di una necessità che, per qualsiasi fenomeno monetario e finanziario, ha storicamente richiesto la messa a punto di una teoria esplicativa di come funziona il relativo mercato. Per evitare l’incerto significato del termine italiano “economia”, che indica sia la teoria che la realtà economica, useremo il termine inglese economics, seguito da with cryptocurrency, ma per brevità useremo CC-economics [1]. La definizione abbraccia un campo divenuto piuttosto ampio degli strumenti virtuali di natura mobiliare e dei metodi di contabilità in forma criptata e decentrata, con una particolare attenzione per quello “concatenato a blocchi” (blockchain). In materia assistiamo a un proliferare di definizioni coniate per cogliere l’evoluzione in corso di questa nuova realtà del mercato. Per gli strumenti si usa una divisione elementare tra cryptocurrency e cryptoasset per distinguere il loro uso monetario o finanziario; per i metodi contabili il termine più generale DLT-Distributed Ledger Technology. In un quadro più ampio si fa riferimento alla DeFi-Decentralized Finance, che abbraccia l’universo delle operazioni a contabilità decentrata di ogni tipo, o alla FinTech, che considera le operazioni e gli operatori che recepiscono o propongono innovazioni tecnologiche in materia finanziaria. Eviterò di entrare nelle complessità di questa nuova area di mercato per non appesantire l’esposizione, nel convincimento che la platea comprenderà ciò di cui si parla a un primo livello di astrazione dalla realtà. L’uso delle CC ha investito il funzionamento del mercato monetario e finanziario a livello globale e ha indotto le autorità di molti paesi a studiare e a proporre un’integrazione della normativa vigente. Ben conosciamo l’abilità del mercato di trovare il modo di aggirare le norme esistenti e, in questo caso, di sfruttare con rapidità i vantaggi dell’assenza di una regolamentazione pubblica; gli operatori privati hanno preso la guida delle CC, prima sviluppandole nelle quantità e nelle forme, poi ibridandole con le attività “tradizionali” (concessioni di credito in forma mista o di soli CC, contratti derivati con collateral solo in CC o misti con strumenti tradizionali, contratti assicurativi con CC o altre combinazioni contrattuali). L’interesse per ogni forma di CC è aumentato a seguito della stretta connessione venutasi a creare tra moneta e finanza tradizionali per fronteggiare la crisi finanziaria mondiale del 2008 e si è accentuato a seguito del maggior ricorso ai computer indotto dal lockdown per motivi sanitari. Tuttavia, la vera spinta è provenuta dalle attese di guadagno che le CC mostravano di avere o solo promettevano, con i Bitcoin che hanno svolto il ruolo di “mosca cocchiera” della nota favola di La Fontaine. Di questa nuova economics sono già stati messi in evidenza alcuni aspetti, non inquadrati però in una visione complessiva dei mercati monetari e finanziari nazionali e globali; si è discusso principalmente se le CC abbiano natura di moneta o di strumento finanziario, senza pervenire a una comune conclusione, né a livello privato, né ufficiale. Il loro uso monetario è piuttosto modesto, ma fungono da unità di misura (numerario) per tutte le contrattazioni in cui sono presenti; ossia svolgono una funzione tradizionale della moneta, unitamente a quella di riserva di valore, anche se fuori dal contesto teorico definito in secoli di crisi ed esperimenti correttivi. Infatti, data la loro variabilità di prezzo e l’assenza di regolazione, sono peculiari riserve di valore, ma non sono unità di misura vera e propria, perché la loro espressione è riferita principalmente al dollaro statunitense, che resta il numerario dominante anche a livello globale. Non sono, inoltre, mezzo legale di scambio o liberatorio dei debiti, non avendo corso legale (legal tender). In materia, i richiami di attenzione (warning) delle autorità di controllo, sostitutivi delle necessarie norme regolatorie, si sono mostrati scarsamente efficaci, come testimoniano i recenti eventi di caduta dei valori delle CC. Le vendite massicce di stablecoin (più oltre SC) garantiti da Bitcoin (più oltre BC), da altre CC o da azioni di società del settore o tradizionali, i cui valori di mercato sono in caduta e rendono obsolete le garanzie di stabilità, hanno creato difficoltà per taluni intermediari del settore, che hanno reagito avvertendo la clientela che, se avessero causato il loro collasso accelerando le vendite, avrebbero perso i loro risparmi. Non credo si possa essere più chiari di così sulle conseguenze dell’assenza di protezione legale regolamentata in questo mercato. Sul piano teorico, l’effetto è simile a quello che si determina sui depositi bancari in caso di loro fuga, se non esiste un prestatore di ultima istanza (lender of last resort) o un’istituzione che svolga simile funzione. Nello scegliere, anche alternativamente, l’uso monetario o finanziario delle CC, chi le possiede non si riferisce alla normativa esistente, ma alle convenzioni che si stabiliscono tra i membri del circuito virtuale, a cui attribuiscono valore pratico superiore a quello legale. Infatti, l’assenza di una normativa rappresenta uno dei principali rischi dell’operare su questa area di mercato, che si riverbera nell’area tradizionale ibridata dalle CC. Ciò che conta per gli operatori in strumenti virtuali è l’intercambiabilità (o liquidabilità) tra le loro diverse forme e con gli strumenti tradizionali del mercato monetario, finanziario e reale. Chiarito questo aspetto, l’inquadramento teorico delle CC in una nuova economics necessita che l’elaborazione venga collocata entro una delle principali scuole di pensiero monetario tradizionali: (i) quella che sostiene di affidare al mercato la creazione e l’autogoverno delle quantità di moneta e dei tassi dell’interesse (che vede le idee di Friedrich Hayek tra le più citate dai suoi sostenitori, ancorché non perfettamente in linea con quelle da lui espresse); (ii) quella di assegnare alle autorità monetarie l’esercizio indipendente di creazione e controllo delle quantità di moneta e/o dei tassi dell’interesse (i cui sostenitori fanno riferimento a John Richard Hicks, per citare solo un importante maestro, dato che le sue idee sono comuni a molti altri economisti); (iii) quella che suggerisce di fissare golden rules, regole rigide di creazione monetaria, lasciando al mercato di stabilire i tassi dell’interesse (con Milton Friedman considerato capo scuola). Queste scuole di pensiero sono considerate parte delle teorie classica, keynesiana e neoclassica. La scelta tra queste opzioni può essere fatta solo ipotizzando che l’economia funzioni in un modo piuttosto che in un altro. Sull’argomento gli economisti hanno prodotto fiumi di “evidenze”, che tali non sono perché non si è pervenuti a una verifica empirica che metta tutti d’accordo, ma solo a un insieme di argomenti logici a favore dell’una o l’altra ipotesi interpretativa. L’unica conclusione che si può trarre da questa vasta produzione scientifica è che di tempo in tempo, da paese a paese, le economie funzionano come se una delle tre scuole avesse validità pratica, ma solo contingente. La prima teoria ipotizza che i mercati, lasciati liberi di operare, hanno capacità intrinseca di autoregolamentarsi, dove i prezzi sono il riferimento prevalente degli operatori e la piena occupazione è sempre garantita, essendo racchiusa nel concetto che essa consiste nel livello che conviene utilizzare. La seconda, che i mercati badano principalmente alle quantità e non hanno le capacità di utilizzare tutte le risorse di lavoro e di capitale disponibili, imponendo l’intervento pubblico per raggiungere una stabilità ciclica dell’economia e la piena occupazione fisica delle risorse, soprattutto di lavoro. La terza riconosce l’utilità di un ricorso all’iniziativa privata del mercato e all’intervento dello Stato per fini infrastrutturali, ma suggerisce una politica monetaria rigorosa, se non proprio rigida, e un bilancio pubblico parametrato agli andamenti dell’economia, strutturalmente in pareggio. Allo stato attuale del dibattito, la condizione in cui versa il mercato delle CC è quella del suo sostanziale autogoverno delle quantità tramite i prezzi (prossima alla versione classica), che impone una sua regolamentazione per garantire la stabilità finanziaria; questa condizione si potrà forse raggiungere dopo novembre 2022, quando le 18+8 istituzioni americane coinvolte con l’ordinanza firmata dal Presidente degli Stati Uniti risponderanno ai quesiti da lui posti; essi investono un ampio spettro di istanze sollevate dalla nascita e circolazione delle CC e dalla loro ibridazione degli strumenti tradizionali, spingendosi fino a considerare le implicazioni geopolitiche e geostrategiche del loro sviluppo [2]. Considerato che la creazione di CC, che non abbia a fronte riserve di strumenti tradizionali in tutto o in parte, altera la distribuzione del reddito e della ricchezza, perché crea dal nulla potere di acquisto sia pure su basi convenzionali, i tre modelli esplicativi indicati vanno anche integrati valutando gli effetti che esse hanno sulla variabile distributiva e, di conseguenza, sugli equilibri sociali o sui disequilibri che si determinano sul mercato nel suo complesso. La definizione di una più completa teoria economica richiederà però più tempo, poiché dipende, lo ripetiamo, dalla conoscenza della morfologia che assumerà il sistema monetario e bancario, per decidere il da farsi su basi razionali complessive. Questo mondo ideale è però raro da trovare e, quindi, le decisioni non possono che essere prese in condizione di incertezza, come ogni fatto della vita economica. Di fronte a uno scenario così ampio e complesso, l’attenzione è stata finora dedicata all’esame della legge di Gresham, rispondendo al quesito di quale possa essere la moneta cattiva capace di scacciare quella buona. Sono insorti i soliti disaccordi se sarà la moneta ufficiale, come il dollaro o l’euro, a prevalere su quella privata (le CC) o se accadrà l’opposto, come sostenuto da molti studiosi le cui idee sono qui condivise. L’unico dubbio è legato alla persistenza con cui i privati continueranno a considerare su basi convenzionali che le CC trovano una garanzia ai rischi dell’assenza di una normativa e all’ampia volatilità delle loro quotazioni nelle elevate aspettative di guadagno che ripongono in esse. Tuttavia, non è una risposta pratica che va cercata, ma una sistemazione quanto più possibile stabile in teoria, congiuntamente valutata alla luce di una politica monetaria che proceda in modo coerente con i principi che l’hanno ispirata fino alle più recenti scelte di assegnare un peso maggiore alla stabilità finanziaria e alla crescita reale rispetto a un rigoroso controllo dell’inflazione. Da alcuni anni si dibatte se la soluzione del problema insorto con gli sviluppi delle CC possa e debba venire con la loro sostituzione, non è ancora chiaro se totale o parziale, con una moneta “digitale” pubblica, chiamata CBDM-Central Bank Digital Money (si usa anche CBDC sostituendo M-Money con C-Currency); tuttavia, anche questa soluzione solleva problemi di natura istituzionale e tecnologica. Infatti, se la digitalizzazione consistesse nell’ampliamento e perfezionamento di questa forma già largamente usata nei pagamenti correnti per creare una cashless society, società senza moneta fisica, insorgerebbe solo il problema di indicare quale contabilità DLT verrà usata e di redigere un programma di transizione normativa-tecnologica verso il nuovo regime monetario. Se invece la CBDM fosse una moneta che entra in competizione con le CC, il problema principale consisterebbe nel garantire alle autorità l’accesso (detto “nodo”) alle informazioni contabilizzate su Blockchain, distinguendo il caso dei Bitcoin, chiuso a partecipanti esterni ai possessori (almeno allo stato attuale delle tecniche conosciute), da quello delle altre CC (Ethereum, Ripple XRP, Litecoin, ecc.), potenzialmente aperte, con metodi decentrati per poter esercitare la loro attività di vigilanza. Se le CBDM si sostituissero integralmente alle CC, nascerebbero problemi di riorganizzazione del regime bancario vigente, in quanto i depositi uscirebbero dal circuito monetario. Questo mutamento confinerebbe l’attività delle banche nel circuito finanziario, quello della mera gestione del risparmio e dei pagamenti, sollevando problemi di definizione delle regole comuni di governo: a) della creazione e circolazione della moneta digitale all’interno dei paesi e negli scambi internazionali, stabilendo un nuovo regime dei cambi secondo le linee decise con l’Accordo di Bretton Woods del 1944, valide fino al 1971, nel cui ambito andrebbe riesaminata la possibilità di riproporre la creazione di un digital bancor di keynesiana memoria [3]; b) del mercato mobiliare interno e internazionale, abbracciando tutti gli strumenti tradizionali e virtuali, stabilendo le caratteristiche delle tecnologie da usare per le contabilità decentrate. Nel contesto le banche centrali terrebbero rapporti diretti di finanziamento con le banche e, ove consentito dai loro statuti, con gli Stati e l’economia (imprese e famiglie), in posizione da monopoliste della creazione monetaria. Scomparirebbe la base monetaria odierna e la CBDM avrebbe la forma di moneta fiduciaria, simile a quella creata un tempo dalle sole banche, con una garanzia pubblica per i detentori ben più forte di quella che hanno gli attuali depositi bancari. La Legge di Gresham troverebbe una risposta pratica in quanto scomparirebbe la moneta cattiva, non sotto la spinta del mercato, ma dalla volontà delle autorità; se, però, esse, come sembra da loro dichiarazioni, fossero disposte a riconoscere la legittimità degli stablecoin anche per quelle create dalle banche, il problema resterebbe irrisolto. È pur vero che le SC sarebbero sottoposte a un processo autorizzativo per mantenere il controllo sul governo della quantità complessiva di moneta, ma questa scelta complicherebbe comunque la conduzione di una politica monetaria volta alla stabilità finanziaria se la gestione delle riserve necessarie per garantire la stabilità di queste peculiari CC fosse parziale e non totale, nonché composta da forme diverse della CBDM. Se così fosse, come si sente ripetere, si perderebbero i vantaggi della distinzione – ripetutamente invocata da Irving Fisher e dal Piano di Chicago del 1939 per uscire dalla Grande recessione e ripresa con maggiore precisione analitica da Hyman Minsky per porre fine alle banche “serve di due padroni” – la stabilità della moneta per la parte in forma di depositi e un maggior utilizzo del risparmio finalizzato alla crescita. Se la CBDM convivesse con le CC e, a maggior ragione con le SC, la definizione di una interconnessione tra le basi contabili digitalizzate, centralizzate aperte e chiuse sarebbe indispensabile, normando le tecnologie al fine di non perdere le informazioni necessarie alle scelte di politica economica. Necessiterebbe comunque un preventivo esame di come funziona un two-tier market, un mercato dove convivono due forme dello stesso bene (moneta privata e moneta ufficiale); di questa forma si conoscono gli effetti negativi da quando la monetazione fiduciaria era attuata da più fonti private, soprattutto banche, a cavallo dei secoli XIX e XX, con un’ultima esperienza fatta per evitare il crollo del regime monetario di Bretton Woods, quando si decise di isolare le contrattazioni di oro sul mercato ufficiale da quelle sul mercato privato, che resse solo pochi mesi prima del crollo della convertibilità aurea del dollaro a prezzi fissi già ricordato. La convivenza tra una moneta le cui quantità sarebbero controllate dalle autorità e una controllata dai privati si può considerare di difficile attuazione, se non proprio impraticabile, soprattutto se quella privata fosse di origine internazionale e penetrasse nei sistemi nazionali. Accertato che la ridefinizione di una CC-economics necessita decisioni strettamente connesse sul piano istituzionale e su quello tecnologico, è possibile tracciare le sue principali componenti per pervenire a un’agenda di lavoro collettivo. Il compito è talmente ampio e gravoso che richiede la ripetizione delle esperienze fatte agli inizi degli anni 1960 con il Modello econometrico MIT-PENN-FED sotto la guida di Franco Modigliani, Albert Ando e Frank De Leeuw, che ha visto la Banca d’Italia di Guido Carli seguire con pari rapidità e non minore intelligenza per mettere a punto il suo M1BI. Questi modelli sono ormai obsoleti, non solo per la mancata considerazione dell’universo delle CC, ma perché falliscono nel loro uso previsivo di matrice probabilistica, che richiede continui cambiamenti dei risultati, minando la loro stessa funzione di aiuto alle scelte. Questo è tanto più vero, in un mondo divenuto piuttosto complesso per le innumerevoli interconnessioni tra migliaia di variabili che richiedono di essere trattate facendo ricorso ai metodi di intelligenza artificiale, con un cambiamento di paradigma dal metodo deduttivo, tipico dei modelli econometrici, a quello induttivo, però su nuove basi scientifiche, come correttamente sostenuto da Rainer Masera nel testo già citato [4]. A questo punto della conoscenza del problema delle CC, il percorso di ricerca di una CC-economics dovrebbe essere racchiuso in un’agenda di lavoro articolata in tre fasi. Una prima, che consiste nel riesame dei modelli econometrici esistenti, introducendo le quantità di CC create o esistenti e, alternativamente, i loro prezzi al fine di: a. ridefinire le funzioni conosciute sul comportamento degli investimenti reali e del risparmio alle variazioni delle quantità e dei prezzi; b. valutare gli effetti di quantità e di prezzo delle CC sulle esportazioni e delle importazioni; c. individuare i meccanismi di trasmissione degli effetti sui prezzi e sugli equilibri di portafoglio (distinguendo l’inflazione su beni reali e quella su beni finanziari); d. decidere l’uso degli attrezzi per le scelte di politica economica, monetaria e fiscale, elaborati in secoli di riflessioni. Una seconda, certamente più impegnativa, che si prefigga di individuare le probabili correzioni alle teorie economiche come oggi conosciute, superando la visione finora limitata a singoli aspetti (come la legge di Gresham e il two-tier market di cui si è detto), ipotizzando: i. l’esistenza o meno di una moneta privata, le CC, accettata su basi convenzionali dalle parti, ma senza riconoscimento pubblico; ii. l’esistenza o meno di una condizione di libera convertibilità tra monete pubbliche e private e di libera circolazione della finanza, in presenza di un mercato che registri gli scambi anche in modo non ufficiale; iii. la presenza o meno di un WTO che regoli gli scambi globali. Per giungere a una terza fase, quella che elabora nuovi modelli basati sull’applicazione di metodi di intelligenza artificiale che comportano l’uscita dalla logica deduttiva fondata su probabilità oggettive (o soggettive), per entrare in una logica induttiva fondata sull’elaborazione di migliaia di dati a disposizione per ricavare previsioni più soddisfacenti. Le più ragionevoli aspettative sono che il cambio del modello rispetto a quello usato dai modelli econometrici fornirebbe una migliore conoscenza degli effetti, ma non delle cause che li determinano. Dovremmo accontentarci quindi di prevedere meglio, rinunciando, almeno inizialmente, a perseguire gli scopi di conoscenza delle cause dei fenomeni economici tipici della ricerca economica finora perseguita. Questi profondi mutamenti riguardanti i modi in cui tutti i mercati già si muovono e, ancor più, si muoveranno comportano anche un riesame dei compiti assegnati alle istituzioni esistenti e delle organizzazioni che esse si dovranno dare per assolverli. Ciò dipenderà dalla soluzione che verrà decisa per l’architettura e le forme della moneta, per le analoghe decisioni riguardanti gli intermediari e la vigilanza dei mercati, nonché la governance societaria. Queste sono tutte decisioni che vanno prese per assegnare alle unità competenti l’obiettivo di perseguire il finanziamento della crescita produttiva e limitare l’area della finanza per la finanza, che rappresentano le forme più efficaci per proteggere il risparmio, inteso come base indispensabile della stabilità sociale necessaria per un ordinato sviluppo. Sollevare i problemi senza indicare soluzioni lascia giustamente insoddisfatti coloro i quali si domandano quale sia il futuro dei propri risparmi. Le premesse conoscitive per dare una risposta sono state finora indicate. Poiché esse non sono state ancora chiarite a livello europeo e, ancor meno, globale, a questo stadio della conoscenza si può ancora procedere, come si va facendo, secondo le linee di vigilanza e di applicazione di normative stabilite per gli strumenti tradizionali, che incontrano, tuttavia, ostacoli legali e pratici di loro applicazione. La vigente regolamentazione rappresenta comunque la base per accogliere un buon funzionamento del mercato di ogni tipo di attività in cui le cryptocurrency siano presenti, che sia vigilato da organi specializzati capaci di garantire il rispetto della normativa che verrà decisa, la trasparenza delle operazioni che si realizzano sul mercato, l’esecuzione rapida dei processi autorizzativi e dei meccanismi sanzionatori, tutte attività da esaminare nel nuovo contesto tecnologico. [1] Ho avanzato questa proposta in una Lectio magistralis tenuta all’Università di Cagliari il 1° ottobre 2021, il cui testo è stato pubblicato su Bancaria (“Lineamenti teorici e pratici di un’economia con le cryptocurrency”, n. 10, 2021, pp. 2-11); una sintesi in inglese è in corso di pubblicazione sulla rivista Economia Internazionale. [2] Ho esaminato questa ordinanza emessa il 9 marzo 2022 nel mio intervento alla Banca di Piacenza del 2 aprile 2022 intitolato “Alcune riflessioni sul progresso scientifico e tecnologico al servizio della finanza”. [3] Traggo questo riferimento in un paper di ampio respiro sui temi trattati in queste riflessioni curato da Rainer Masera del 6 febbraio 2022 intitolato “Nuovi rischi e regolazione delle cryptovalute”. [4] Ho esaminato l’evoluzione del metodo per la ricerca scientifica nel mio ultimo lavoro per i tipi della Rubbettino (Soveria Mannelli 2022) intitolato Il progresso della scienza migliora le sorti dell’umanità? Un riesame dei mutamenti della metodologia della ricerca scientifica da Roger e Francis Bacon ai giorni nostri.

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