La banca userà una terza parte come “custode” per evitare che nessun cripto-asset sia iscritto in bilancio. Ma scattano subito gli interrogativi: esposizione eccessiva in caso di default del debitore? 09 Mag 2022 Patrizia Licata giornalista
C’è sempre più fintech nel business delle banche: Goldman Sachs ha erogato un prestito garantito da Bitcoin del valore di 27 miliardi di dollari alla “borsa” delle criptovalute Coinbase Global. Lo riporta in base a fonti confidenziali Reuters Breakingviews. La struttura del prestito fa sì che Goldman Sachs non toccherà alcun cripto-asset in questa operazione, evitando rischi ma garantendosi gli interessi. Sempre che non ci siano obiezioni da parte del regolatore. Indice degli argomenti • Le banche esplorano i prestiti con le criptovalute • L’escamotage della banca custode • Fintech e banche, nodi da sciogliere per il regolatore Le banche esplorano i prestiti con le criptovalute La regola numero uno per le banche che esplorano le potenzialità della blockchain e delle criptovalute è evitare di mettere direttamente nel bilancio d’esercizio alcun asset digitale. Il Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria ha proposto l’anno scorso un risk weight dell’1.250% per una serie di criptovalute, tra cui Bitcoin ed Ether, che sono estremamente volatili e questo vuol dire che una banca con un capital ratio minimo dell’8% potrebbe trovarsi costretta a tenere un dollaro di equity per ogni dollaro di esposizione alle criptovalute.
Per le banche come Goldman Sachs è dunque fondamentale riuscire ad erogare prestiti in cripto-asset senza doverne mai entrare in possesso, cosa che accadrebbe, per esempio, se il debitore fallisse. Il trucco, già usato da cripto-lender di nicchia come Silvergate Capital, è di trovare una terza parte che tenga il collaterale. L’escamotage della banca custode Breakingviews spiega come funziona il meccanismo. Una cripto-company, o un investitore, possiede Bitcoin e vuole prendere in prestito dei dollari. Si rivolge a una banca che potrebbe prestare tra il 40% e il 60% del valore di mercato dei cripto-asset. Una terza parte che agisce da banca custode tiene il collaterale. Se il debitore fallisce vende i Bitcoin per ricavarne dollari e li gira alla banca. Silvergate ha usato una società del gruppo di asset management Fidelity Investments come banca custode. Il prestito di Goldman a Coinbase usa una struttura simile che si appoggia a una terza parte. Fintech e banche, nodi da sciogliere per il regolatore I regolatori potrebbero sollevare obiezioni. Se i prezzi del bitcoin precipitano, come può succedere, la banca custode potrebbe avere difficoltà a vendere grandi volumi di cripto-asset e la banca che ha erogato il prestito sarebbe fortemente esposta. Ma, in questo caso particolare, l’operazione di Goldman Sachs viene considerata solida perché Coinbase non ha un alto profilo di rischio e il prestito è strutturato per dare interessi – in base alle fonti confidenziali – intorno al 6%-7%, ma con il beneficio del collaterale. Questo potrebbe attrarre altre banche di investimento, come JPMorgan e Morgan Stanley, verso operazioni simili. Il passo successivo sarebbe fare prestiti basati sulle criptovalute direttamente agli hedge fund e a investitori specialisti che cercano di guadagnare dalle diffuse inefficienze di pricing nell’industria delle valute digitali. Come ha illustrato il Financial Times, il lancio a Wall Street della prima piattaforma di scambio per i future del bitcoin (ProShares bitcoin strategy Etf), che è legata ai future Cme, ha creato un forte divario tra il prezzo del bitcoin e quello dei suoi future a breve termine su cui gli investitori professionisti possono realizzare larghi profitti. Si tratta di un altro ambito destinato a creare sfide per i regolatori.
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